Teatro

Contemporaneo II

Relazioni pericolose. Diversità, solitudine, ossessione e gelosia come commedia/tragedia dell’interdetto nei tre atti unici di Fabrizio Romagnoli.

L’angelo della morte
Nemiciamici
Solo

Pubblicato dalla casa editrice MJM Editore.

LIBRO FUORI CATALOGO, EDIZIONE ESAURITA

 

Introduzione di C. Bruna Mancini (Università della Calabria).

Fabrizio Romagnoli vive il teatro in maniera viscerale, col cuore e con l’anima, e a esso è completamente dedito, come attratto da una forza magnetica (la magia della rappresentazione, l’odore delle tavole del palcoscenico, l’atmosfera creata dall’energia, dai silenzi, dalle parole che vibrano durante la messinscena, come ama spesso ripetere) della quale non può fare a meno e che gli dà l’entusiasmo e la determinazione per vivere ogni giorno con rinnovato slancio, nonostante le ben note difficoltà che attanagliano l’arte e la cultura in questi tristi anni in cui ci viene fatto credere – ma naturalmente così non è – che esse servano a ben poco. Infatti, la vita di Romagnoli è (quasi) tutta impregnata di teatro: sulle tavole del palcoscenico recita e insegna, e per il teatro scrive, alla costante ricerca di una voce e uno stile ‘naturali’ e una recitazione non grottesca, che permetta a chi assiste di entrare agevolmente nella finzione teatrale, lasciandosi affascinare.

Certo, al cinema e alla televisione Romagnoli ha lavorato e lavora sovente, ma solo per il teatro – almeno fino ad adesso – ha prestato la sua scrittura: innovativa, evocativa, intimamente personale, ironica e al tempo stesso destabilizzante, sardonicamente inquietante.

E, in effetti, soltanto qualcuno che è legato alle tavole del palcoscenico in maniera così pregnante e totalizzante e che conosce e ama tanto intensamente il mestiere di attore può creare delle pièces che sono delle intense costruzioni a incastro, o delle scale a spirale alla Piranesi, nonché delle formidabili ‘prove d’attore’; i suoi testi, infatti, richiedono un perfetto dominio della scena e del proprio corpo attoriale affinché si possano gestire adeguatamente le battute mordaci e sferzanti, gli scambi veloci e caustici di sguardi, frasi e movimenti, le sospensioni e i silenzi evocativi che non possono durare un secondo in più o un secondo in meno per poter funzionare appieno: un meccanismo a orologeria che è la sua cifra distintiva e rende questi ‘copioni’ intriganti, pericolosi e affascinanti, sia per un attore che voglia accettare la sfida e ci si voglia misurare, sia per chi entra da lettore e/o spettatore nella fobica rete di ragno della trama. Alla fine, ci si misura sempre con se stessi.

Nell’enfasi degli scambi di battute, che spesso si susseguono a ritmo incalzante tra personaggi che sembrano conoscersi fin troppo bene, ma che spesso nascondono un profondo dolore, una profonda insicurezza, un insondabile segreto, un’ossessione che li macera (“Non posso credere a quello che sento!

I miei amici sono degli sconosciuti, gente che non conosco!”, dice Alessandro in Nemiciamici, e in Solo, Fabio, trentenne fratello di Sandro, che dopo una lunga malattia vive su una sedia a rotelle, gli urla con durezza: “Non iniziare con le tue angosce, lo so! Sei solo! Solo come un cane!

Tutti i tuoi amici, la gente che frequentavi e i colleghi di lavoro se ne fregano di te!”), lo spettatore è coinvolto a più livelli: dalla storia che lo diverte e lo intriga, o forse lo spaventa, e che deve costruire poco alla volta, seguendo i discorsi dei personaggi in scena; dalla tragedia che prende lentamente forma dalla più completa ‘normalità‘; dai segreti che ogni personaggio sembra nascondere e che costruiscono la fitta, complessa e claustrofobica rete di rapporti interpersonali con gli altri parenti o ‘amici’ (‘nemiciamici‘?) che incontra e con cui si scontra, in scena.

Insomma, chi li legge e/o vi assiste come spettatore non può che riconoscere in questi testi un intenso affresco del mondo in cui viviamo, con la sua amara ironia e la sua sferzante crudeltà, e anche un’ennesima disanima dell’annoso binomio apparenza/realtà, mettendo in forse ogni falsa pretesa di cosiddetta ‘normalità’ e lasciandosi andare al dramma dell’interdetto, del negato, della follia, dell’ossessione, della diversità; che questo gli permetta di aprirsi al diverso da sé o a conoscere ciò che gli fa paura, anche di se stesso/a? Dopotutto, come ha scritto Gemma Criscuoli in una recensione apparsa nella pagina intitolata Proscenio della rivista GeaArt (settembre/Ottobre 2012) e dedicata al libro Teatro contemporaneo di Romagnoli pubblicato nel 2010: “La finzione del palcoscenico può essere la via più sicura, per quanto tortuosa, per arrivare alla verità o a ciò che più le somiglia”.

Gli atti unici di Fabrizio Romagnoli costruiscono un microcosmo di personaggi, un mondo ‘a parte’ solo in apparenza coeso, che sembra vivere in un altrove sospeso nel tempo e nello spazio, anche se potrebbe esistere dovunque, dietro ogni porta ed ogni finestra della nostra contemporaneità.

E’ in questi spazi chiusi, limitati, claustrofobici che prende forma una storia surreale, più reale del reale, intima e perturbante, che gioca con l’equivoco e l’alterità sotto ogni sua forma, rilevando l’incoerenza di un mondo che vuole essere, forse, troppo coerente, delimitando con precisione e razionalità i limiti imperscrutabili che separano il bene dal male. L’amicizia, l’amore, i rapporti familiari, costretti nella morsa problematica della vita, vengono sondati senza facili perbenismi, con una scrittura a tratti crudele e sarcastica, ma sempre ricca di quell’elasticità, quell’ironia e quella semplicità che mettono l’osservatore (lettore o spettatore) a proprio agio, sfatando facili cliché e interdizioni e rendendolo ennesimo personaggio in scena. In una commedia degli equivoci, la tragedia fa spesso capolino, ma – come dice Roberto, una sorta di fool transgender, in conclusione di Nemiciamici – queste situazioni surreali e ossessive devono essere affrontate, è necessario: “Si parla di amicizia e l’amicizia è la cosa più importante che esista al mondo! L’amore finisce.

I genitori, in genere, muoiono prima di noi. L’amicizia è forse l’unica cosa che cambia, a volte si trasforma e a volte sembra finire, ma quando è vera, allora ti accompagna per tutta la vita!

Questa discussione deve essere affrontata o per lo meno è giusto provarci!”. In una sorta di dènouement finale, la trama sembra sciogliersi in una catarsi/purificazione alquanto sui generis, in cui tutti dicono ciò che pensano e provano per poter ricominciare; ma proprio quando tutti i fili sembra che si stiano riannodando, un ultimo filo che si era perso di vista riapre le danze sul buio finale: un ultimo schiaffo, l’inatteso, un perturbante salto nel vuoto che lascia la vicenda con un finale aperto di cui possiamo solo immaginare le occorrenze future; dopotutto, come dice Sandro in Solo, la sua battuta finale: “Non si può mai sapere cosa ci regala la vita!”.

Buio.
Applausi.